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La falda di Milano


Prima del 1800 il rifornimento dell’acqua potabile nel comune di Milano, ed in genere per il usi domestici, avveniva tradizionalmente da una miriade di pozzi privati, che attingevano dalla ricca e facilmente accessibile falda freatica. Si trattava in genere di pozzi scavati, con rivestimento in mattoni, profondi non più di 6-7 metri; molto rari erano i pozzi trivellati, che raggiungevano i 12-13 metri dando ovviamente acque migliori.

L'aumento degli abitanti (circa 321.000 al censimento del 1881), l'aumento delle esigenze igieniche e dei consumi d’acqua, portarono ad un crescendo di richieste della "pubblica opinione" e indussero le autorità ad affrontare il problema. I progetti furono discussi a lungo, interpellando anche professionisti di fama internazionale.

Alla fine prevalsero le modeste, ma concrete e realistiche opinioni dell'Ufficio Tecnico Comunale, in particolare del giovane ingegnere Felice Poggi, che proponeva di attingere alla falda freatica, la tradizionale fonte usata da secoli dai milanesi, costruendo però pozzi profondi, in modo da avere garanzie di purezza e salubrità dell'acqua.

In effetti, durante la costruzione dei primi due pozzi sperimentali, intrapresa nella seconda metà del 1888 nella zona dell'Arena, si constatò che a profondità di 20-30 metri degli strati compatti di argilla proteggevano la falda dalle infiltrazioni superficiali, così che alla profondità raggiunta dallo scavo (il primo pozzo fu spinto fino a 145 metri, il secondo fino a 81m), l'acqua era ottima ed abbondante. In questi pozzi l’acqua risaliva per pressione naturale fino a 3-4 metri dal livello del suolo, ed era così possibile aspirarla facilmente con delle pompe sistemate qualche metro più in basso del livello stradale.

Milano usò la falda per alimentare l’acquedotto e fu la sua fortuna: da allora Milano ha uno dei sistemi più efficienti al mondo con costi tra i più bassi d’Europa. Dai 7 miliardi di litri prodotti nel 1900 si passò a 107 nel 1930 e a 336 nel 1970. L’abbondante disponibilità d’acqua permise oltre che la distribuzione agli edifici privati, anche la costruzione di bagni e servizi pubblici e di stabilimenti di grandi dimensioni.

Col passare del tempo il progressivo ed indiscriminato sfruttamento pubblico e privato, la falda freatica cominciò a dar segni di “stanchezza”: i primi segnali di un pur modesto abbassamento risalgono già al 1928 con un peggioramento in conseguenza all’incremento dei prelievi da parte delle industrie che si sviluppavano nell’area milanese. Così il livello della falda iniziò a scendere e lo fece sempre più rapidamente.

A partire dagli anni ‘90 si iniziò invece ad assistere a un inversione dello scenario, in conseguenza della chiusura degli stabilimenti idrovori e fabbriche pesanti. Le fabbriche avevano inoltre creato a partire dagli anni ‘60 anche un serio problema di inquinamento chimico che ha costretto i tecnici ad aumentare la profondità dei pozzi fino a 160 – 180 mt, ma la struttura fondamentale dell’acquedotto è rimasta la stessa.

Ecco perchè dal 1990 la falda si alza con una velocità fino a mezzo metro all’anno e si è giunti pertanto negli ultimi anni ad avere problemi legati ad allagamenti dei sotterranei, parcheggi e metrò.

La falda di Milano è un simbolo della mancata la capacità di prevedere. E qui non parliamo delle follie del meteo, ma di imparare dalla storia di una città sorta su una terra intrisa d’acqua. Ma anche un esempio di incapacità di provvedere: non mancano le soluzioni, anche semplici, ma latitano le volontà politiche di realizzarle.



BIBLIOGRAFIA

Lapini Gianluca - Le origini del civico acquedotto di Milano

Legambiente - L’acquedotto di Milano, note storiche


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