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Cos'è quel muso lungo..

Quello per i cavallucci è stato amore a prima vista, fin da quando ero piiiiccolo piccolo. Ricordo ancora di quando, con il collo perennemente scottato e le ginocchia sbucciate, saltellavo da uno scoglio all’altro con una cannetta di legno (o meglio, un rametto con un pezzetto di lenza, un ametto e un piombino attaccati) pescando bavose nelle pozze. Un giorno, quel giorno, mentre stavo lì seduto ad aspettare che l’ennesimo sciarrano mi rubasse l’esca, vidi qualcosa di brunastro galleggiare poco sotto il pelo dell’acqua. E, con mio stupore, scoprii che quello era il mio primo cavalluccio, forse staccato dal fondo dai marosi. Una codina da camaleonte mi si arrotolò attorno ad un dito mentre lo riponevo con cura all’interno di un secchiello, giusto per guardarlo. Ce l’ho ancora, da qualche parte, una foto sfuocata, di un secchiello bianco tra gli scogli con dentro la sagoma (si vede solo quella) del mio primo cavalluccio, poi liberato entrando in acqua con maschera e pinne e facendolo attaccare al fondo.

Dopo alcuni (troppi) anni, nel 2009, l’incontro con Pinky, una cavalluccia dalla rara colorazione rosata all’interno di una grotta dove tutti i diving, da sempre, passavano senza averla mai notata. E, l’estate successiva, era ancora lì, ad aspettarmi, nello stesso metro quadrato di parete, tra le stesse spugne e gli stessi coralli. Quest’anno ho deciso che era ora di trovare qualche nuovo amico: un giorno noleggio la bombola e vado su un fondale di 2 metri, con fango, chiazze di sabbia, rocce piatte coperte da alghe mucillaginose, e qualche macchia sparsa di posidonia. Roba da far scappare a gambe levate qualunque subacqueo...dopo dieci minuti dal mio ingresso in acqua, scorgo una codina, quella stessa codina camaleontica dei ricordi infantili, e mi trovo davanti un piccolo cavalluccio bellissimo, verde cosparso di tante macchioline reticolate bianco-azzurre. Mentre lo guardo, come tutti gli altri incontrati finora, facendo finta di nulla si gira lentamente volgendomi la schiena, per farsi vedere “di taglio” e rendersi meno visibile. Dopo qualche giorno vado a fare un’immersione con un amico fotografo inglese (Alex Mustard; lo ritengo uno dei più bravi fotosub del mondo, fate un salto su google immagini digitando il suo nome per vedere le sue meraviglie) sempre al fine di trovare i cavalli di mare. Questa volta, fondale sabbioso nei pressi di prateria pressoché sconfinata, a 5 metri di profondità; anche in questo caso, dopo pochi minuti individuo un tipetto tutto spettinato, di colore biancastro, attaccato a foglie morte di posidonia sparse sulla sabbia. E, dopo la mia partenza, il mio amico è tornato sul posto, trovando in più immersioni anche un altro cavalluccio biancastro, due neri e uno giallo. Insomma, un condominio…

Tutto questo per dire: i cavallucci non sono rari (certo, forse sono un po’ diminuiti rispetto ad un tempo), ma di solito stanno dove non guardiamo. Dove non si fanno le immersioni, dove normalmente non si va, perché l’acqua è bassa, perché apparentemente non c’è nulla da vedere, e così via. Sui cavallucci mediterranei però grava un po’ di confusione, soprattutto sui loro nomi e sull’identificazione. Andiamo con ordine, senza considerare il cavalluccio fosco (Hippocampus fuscus), recentemente penetrato in Mediterraneo dal Mar Rosso. Le due specie autoctone (cioè originarie) del nostro mare sono il cavalluccio marino comune (Hippocampus guttulatus) ed il cavalluccio marino camuso (Hippocampus hippocampus). Normalmente per distinguerli la regoletta dice che il primo ha il muso più lungo e il corpo coperto da appendici cutanee, mentre il secondo ha il muso più corto e il corpo privo di appendici. Questa distinzione, alquanto facile anche per i non addetti ai lavori, è stata utilizzata anche durante il progetto “Missione Hippocampus Mediterraneo”, di cui qui accanto il questionario: si trattava di un’indagine atta a verificare gli incontri dei subacquei ricreativi con i cavallucci, e i due disegni sono molto chiari nel distinguere le specie. Ciò che però ho constatato osservando decine di fotografie, leggendo pubblicazioni, nonché dai miei incontri descritti in precedenza e dalla consultazione con vari esperti, è che la regoletta del “crine di cavallo” non è affatto attendibile. Giusto per fare un esempio, il tipetto verde che ho incontrato questa estate è dotato di numerosissime appendici frondose su tutto il corpo, ma appartiene alla specie a muso corto, normalmente indicata come priva delle stesse.

Molti caratteri sono sovrapponibili tra le due specie, quindi è necessario analizzarli tutti insieme, oltre ad avere un po’ di occhio, per poter identificare correttamente il cavalluccio che si ha davanti. Per questo, a mio parere, quel sondaggio citato in precedenza lascia un po’ il tempo che trova. Attualmente, invece, dalla Francia parte un progetto di censimento dei cavallucci mediterranei più affidabile: è necessario registrarsi al sito http://www.peaubleue.org/ e compilare un rapido modulo con le informazioni di data, profondità, ambiente, etc. relative all’osservazione che abbiamo fatto, e caricare poi una o più foto che, visionate da esperti, di sicuro porteranno all’identificazione corretta dell’animale ritratto. Se avete tempo e osservazioni di cavallucci (da quando siete nati ad oggi, non ci sono limiti di tempo) partecipate, Hippoatlas è un bel progetto. Insomma, non è sempre così facile con questi cavallini...se poi vi dicessi che da secoli, a causa di uno studioso che ha sbagliato una pubblicazione, usiamo per queste due specie i nomi sbagliati (il camuso dovrebbe chiamarsi

Hippocampus brevirostris, mentre il comune dovrebbe chiamarsi Hippocampus hippocampus ovvero avere il nome dell’altro...!), senza cambiarli in quelli corretti per pigrizia, il mistero si infittisce.

cav.jpg

Una sola cosa è certa: i cavallucci stanno dove devono stare, del tutto incuranti del nome che diamo loro. E se anche lo sapessero, ci volgerebbero la schiena...


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